Qualche giorno fa stavo passeggiando lungo una via centrale di Rho, una di quelle strade dove si alternano negozi storici, nuove aperture e un continuo via vai di persone. A un certo punto la mia attenzione è stata catturata da una grande vetrata illuminata: dietro, a non più di mezzo metro dal marciapiede, si stava svolgendo una lezione di inglese.
La scena era impossibile da ignorare. La scuola appariva elegante, arredata con gusto, luci calde e colori coordinati. Un ambiente senza dubbio curato. Eppure qualcosa stonava: gli studenti erano seduti su piccole poltroncine, rivolti verso la TV accanto all’insegnante dove scorreva un video didattico, senza tavoli davanti e senza la minima possibilità di prendere appunti o lavorare su un libro. Tutto era perfettamente disposto per essere osservato dall’esterno, come un salotto in esposizione.
Camminando, non riuscivo a non chiedermi come potessero sentirsi a loro agio con la gente che passava davanti alla vetrina e li vedeva durante un momento che dovrebbe essere protetto, dedicato all’apprendimento e alla concentrazione. E anche gli studenti vedevano le persone che passavano, causando sicuramente distrazione.
Imparare una lingua richiede fiducia, serenità, la possibilità di sbagliare senza sentirsi esposti. Richiede anche strumenti pratici: spazio per scrivere, materiali su cui lavorare, una postura che favorisca l’attenzione e non solo l’estetica.
La sensazione, purtroppo, era che in quel caso la scuola stesse usando gli studenti come parte dell’arredamento, un modo per attirare l’attenzione dei passanti e trasformare la lezione in una forma di pubblicità. Una scelta che può apparire accattivante, ma che rischia di andare a scapito della qualità dell’apprendimento.
La didattica non dovrebbe mai essere dominata dall’immagine. Ogni lezione dovrebbe essere costruita per offrire agli studenti ciò di cui hanno realmente bisogno: concentrazione, sicurezza, comfort, strumenti utili per partecipare in modo attivo e consapevole.
Quando lavoro nel mio studio, faccio sedere lo studente a un grande tavolo con sopra solo uno schermo che uso talvolta per condividere del materiale. Lo incoraggio a tirare fuori quaderni, libri, astuccio e tutto quello che gli può servire. Mi metto di fronte e scelgo di avere alle spalle una parete neutra: nel campo visivo dello studente non ci sarà altro. Girandosi di pochi gradi, avrà lo schermo sul tavolo a sinistra e la lavagna sulla parete bianca a destra. E quando di rado capita che entri qualcuno (per esempio in un’occasione sono passati degli operai alle spalle della studentessa), mi profondo in scuse perché no, non dovrebbe succedere.
Un corso di lingue funziona quando chi studia si sente tutelato, coinvolto e rispettato. Una scuola non è un negozio: è un luogo di crescita. Ed è lì che dovrebbe restare il suo focus.
